lunedì 23 aprile 2007

ODIO GIULIO

Giulio era mio compagno di liceo, eravamo amici, come si è amici a scuola, compagni di scazzottate, di ricerca disperata di fanciulle e di vicendevoli giustificazioni alle interrogazioni. Arrivati all'università ci siamo persi di vista, quattro anni fa, più o meno, è finito a Rebibbia per affari che non ho intenzione di raccontare.

C'è una cosa che mi dice ogni volta che lo sento: "Io sono molto, ma molto più libero di te, mio caro, io a Rebibbia non devo procacciarmi il cibo come fate voi precarietti da baraccone e da savana o da produzione impellente, sono libero di pensare, di leggere, di scrivere. Di Sognare. Voi dovete portare a casa la centomila, dovete dire la vostra nelle chiacchiere da bar per non restare emarginati, dovete schierarvi con una falsa destra o una falsa sinistra, e credere in questa falsità per non diventare un ignavo."
Mi fa provare l'invidia vera, non tanto per quello che mi dice, quanto perchè, nella sua posizione, è un uomo che non ha più niente da perdere.
Mi fa provare l'invidia della libertà totale e assoluta di chi non ha più niente da perdere.

Mi viene da ridere e da piangere.
In fondo cosa ho da perdere io? Ottocento euro al mese lorde di ipocrisia? il mio call-center del cazzo? il mio matrimonio fallito, per scelta, ma pur sempre fallito? Il mio rottame di Tipo o il mio bilocale nella discarica della città?
So che tanti di voi stanno pensando la stessa cosa in questo momento "cosa ho da perdere pure io?" ma se ci guardiamo bene dentro sappiamo tutti che non è così, non è mai così, perchè a quelle ottocento al mese, a quel mestiere precario, a quel matrimonio dal ricordo amaro e magnifico, a quella Tipo e a quel bilocale ci teniamo da morire, anche se non lo ammetteremmo sotto tortura.
Questo è parte del mondo, il mio, il tuo mondo. Non paesi lontani e oceani che mai vedrai ma che ti auguro di vedere. E' tutto lì, nei tuoi ricordi d'amore e nella tua vita, anche materiale. L'importante è che quella vita non sia arrenda alla mediocrità.
Mai scendere a compromessi, mai patteggiare, questo è il tuo mondo, difendilo da chi vuole importi il suo, con forza, e ricorda, un piede deve affondare sempre nel tuo mondo, ma l'altro deve sempre essere puntato all'orizzonte, come lo sguardo: Verso l'esplorazione degli altri mondi, restando solo nel proprio, si resta poveri.

Mi rimane l'invida per Giulio e il suo nulla da perdere.

lunedì 16 aprile 2007

ILLUSIONI

Ciao ragazzi, oggi voglio farvi una domanda:
chi pensate che sia lo scemo che guardate allo specchio ogni santo giorno?
"Io! Che domande!"
Mi permetto di controbattere: "Non sei tu, è la tua immagine riflessa."
Dov'è la differenza?

Una intera scuola di pensiero è stata fondata sull'idea che ognuno di noi indossa una maschera, una faccia intercambiabile che mostra una persona diversa a seconda di chi ha davanti, della situazione che ha davanti. Io sono così Uno, ma allo stesso tempo sono centomila persone diverse, e inevitabilmente perdo la mia essenza, divento nessuno.

Sono più radicale: non sono maschere quelle che indossiamo, sono illusioni quelle che viviamo. L'illusione di essere gentile, l'illusione di essere galante, l'illusione di essere allegro, l'illusione di essere vinc
ente, l'illusione di essere innamorato, l'illusione di essere vivo, libero e felice. Un'illusione di noi stessi che annienta la nostra vera natura, non si limita a mascherarla.
Tra maschera e illusione c'è una differenza profonda, la maschera si appoggia all'esterno, ti copre, l'illusione ti fa a pezzi da dentro.

Quante volte al giorno ci sentiamo dire: "Ciao! Come stai?", e non fa in tempo lui a finire la parola "stai" e non fai in tempo tu a rispondere, che chi ci rivolge la parola si è già girato, salutando gli altri commensali. Rimani immobile come un idiota, e vorresti mandarlo al diavolo, ma sai che la sua frase è dettata dall'illusione di un interesse per te, un'illusione che provate entrambi, per questo dopo tre secondi hai dimenticato.

Scaviamo dentro di noi, liberiamoci da questo pesante sacco di sterco che è l'illusione ritroviamo la nostra vera natura, non siamo donne manager, uomini duri, belle impossibili o impomatati vincenti. Sono illusioni che creiamo non tanto per gli altri, quanto per noi. E' così difficile e faticoso capire e accettare chi siamo che ci creiamo una proiezione (o una moltitudine di proiezioni) di un Io immaginario e la facciamo nostra, crediamo di essere qualcuno che abbiamo inventato, e spendiamo tutte le nostre energie nel farlo credere agli altri, e proviamo un orgasmo quando ci riusciamo. Liberiamoci di tutto questo, se vogliamo diventare veri, fatelo per me, almeno, detesto i manichini e le bambole gonfiabili. Smettiamola di fare i pupazzi e troviamo noi stessi.

Io sono Max, ragazzo, e tu?

domenica 8 aprile 2007

QUALCHE FULMINE

E' la notte di pasqua e sto qua a scrivere. Volevo raccontare qualcosa di carino, o fare una qualche sparata colossale ma mi ha colpito una tristezza improvvisa, qualche fulmine di pensiero che mi trapassa le tempie, da parte a parte, mentre fuori piove, e il buio mi entra dentro, come ogni notte del cazzo che passo in piedi.
Eppure è la notte di pasqua, anche per me che non sono cristiano e non me ne vergogno. Anche io mi sono ciucciato il pranzo con qualche parente che non vedo da qualche anno, come parecchi di voi. Tanta ipocrisia e tanta, tanta noia. Una noia da vita buttata, tanto che non ho aspettato nemmeno la pastiera per volatilizzarmi "sai com'è, il lavoro è tremendo...".
Scusa banale, ma ci cascano sempre, e mi sono lanciato sul raccordo anulare di Roma con la mia scassatissima Tipo e lo stereo a palla, lanciato per modo di dire, quando raggiungio i 110 con quella carretta mi vibra pure il culo.
Benzina ce n'è, mi butto alla prima uscita che mi ispira, mi ritrovo in un quartiere-cantiere, tante famiglie allegre tra vitella e coratella, i bambini che si gonfiano di cioccolata, lo speaker alla radio augura una santa pasqua all'insegna di chissà quale rinascita, all'insegna di una speranza nella provvidenza divina che non bisogna mai perdere. Ma tu guarda se questo pseudo-bagnigno da techno-ecstasy deve farmi la predica. Infilo stizzito un disco di Vasco.
Mi faccio un bel giro nel quartiere-cantiere, tra
gru e palazzi in costruzione, in un mare di calcinacci, la strada a malapena asfaltata, ma siamo ancora a Roma? Quella del Colosseo e di San Pietro (tanto per restare in tema...) ?
Qua non ci sono eserciti di turisti armati di macchinette digitali, in compenso incrocio un paio di Clochard che si alzano un tetto di cartone in un angolo del viottolo.

Sally è già stata punita per ogni sua pallida carezza data per non sentire l'amarezza, e forse è questo il senso del tuo vagare: ci si deve sentire alla fine un po' male, forse qualcuno troverà il coraggio per affrontare i sensi di colpa e cancellarli da questo viaggio.

Forse questo è stato il senso del mio vagare, sentirmi un po' male e trovare il coraggio di affrontare i sensi di colpa per cancellarli da questo viaggio. Ma quali sensi di colpa, maledizione, quali? L'innocenza ce l'avevano i bambini, ma la perdono ogni giorno di più, perchè ci sono genitori veramente stronzi.

Siamo colpevoli di gettare i nostri sogni al vento per un tozzo di pane, siamo colpevoli di tagliarci le ali ogni giorno di un centimetro in più, consapevoli che, una volta staccate, cadremo in terra con loro, morti.
Ci uccidiamo ogni giorno che passa, consapevoli, colpevoli.

L'innocenza non esiste, siamo tutti colpevoli.
Cerco un'attenuante o guardo in faccia la realtà?

A questo non so rispondere.



martedì 3 aprile 2007

NAVIGARE, NUOTARE, NAUFRAGARE

Capita, a volte, di tirar tardi saltando da un sito all'altro, da un blog a una home, da un tiratardi a un tanto-domanimi-sveglio-quando-mi-pare, e che storie che becco certe sere. E che blog.
C'è chi tiene un diario, chi racconta al mondo le sue sfighe, facendo leva sulla propria sensibilità e sventura amoroso-scolastica-familiare sperando che qualche ragazzetta ci caschi, andando a consolare il povero bimbetto scolare. Niente di male, un po' patetico, un po' tanto patetico, ma niente di male, anzi.
Mi ricordo che una volta, all'università, ho scritto una poesia ad una ragazza di cui ero, se non innamorato, diciamo infatuato. Eravamo tutti e due iscritti alla facoltà di lettere e tra un Pascoli e un D'Annunzio, volevo anche io provare a sentirmi un Leopardi, tanto che lei si chiamava Silvia, e proprio "A Silvia" era il titolo della poesia che scrissi. Decisamente meno malinconica e sublime rispetto al capolavoro del gobbetto marchigiano e decisamente meno in generale.
Volevo buttarla lì, succeda quel che deve succedere.
Lei la lesse, sorrise, "carina" commentò "certo, potevi fare meglio..." sminuendo il lavoro su cui mi ero rotto la testa con un sorriso disarmante.
Inutile dire che non sono uscito neanche una volta con la mia bella collega di studi. Tra l'altro abbiamo preso strade diverse, io ho mollato l'università, lei si è laureata a pieni voti, e, detto tra noi, potevo veramente fare meglio, e non solo con la poesia ma anche con tutto il resto.

Queste sere che tiro tardi tra blog e ricordi somigliano a un mare, a volte mi fa incazzare, ma a volte naufragar m'è dolce in questo mare.

venerdì 30 marzo 2007

DONNA ALLA FERMATA DELL'AUTOBUS

Ti ho vista oggi, mentre ti passavo accanto con la mia scassatissima ma dignitosissima Tipo. Avrei voluto darti un passaggio, disinteressato, ma non avresti certo accettato, non da uno sconosciuto. Ovvio, sai quante se ne sentono? E avresti fatto bene, perchè forse ti avrei parlato. Probabilmente sarei rimasto muto come un pesce dal "vuole un passaggio" al "arrivederci" ma avrei anche potuto parlare.
Mi immagino te da giovane, una ragazza splendida, con uno sguardo avevi in pugno il cuore del malcapitato di turno, avevi frotte di ammiratori, di spasimanti, di amanti... e di sfruttati.
Ti piaceva aver tanto seguito, come una principessa, tutti volevano soddisfare i tuoi bisogni, i tuoi istinti, i tuoi capricci, in cambio anche solo di un sorriso.
Vedere il tuo sguardo illuminarsi, la tua gioia manifestarsi era per loro l'unico motivo per cui si alzavano dal letto e per cui ci tornavano. Avevi il mondo in pugno, eri circondata da tutti e questo ti permetteva di scegliere, scegliere, scegliere chi, alla fine, avrebbe offerto di più.

Come ti sei ridotta a prendere l'autobus, principessa?
Lo immagino... magari hai scelto male, oppure benissimo, a seconda del modo di vedere la scelta, e ti sei ritrovata con un uomo che ti ha coperta d'oro, donandoti però tanto di quel vuoto da non poter più sopportare la tua stessa vita, allora hai deciso di rinunciare all'oro, in cambio della vita. Hai gettato la spider, la villa, la piscina, il ricco e vuoto per ritrovarti sola, indipendente, libera. Sola, terribilmente sola, una solitudine che tu non potevi sopportare. Ovvio, eri abituata ad essere sempre coperta dalle attenzioni di tutti, la maggior parte delle quali ti potevi permettere di respingere cordialmente o meno, buffo pensare che quasi tutti gli uomini che hai respinto nella tua vita erano i più sinceri, ma tu non potevi saperlo, o non te ne importava nulla, abbagliata dal luccichio dell'oro.

Cosa sarà successo poi?
Un incontro fatale, un uomo non più facoltoso, ma bello, un uomo che ti faceva sentire bella anche solo passeggiando al tuo fianco. La sua povertà era compensata dalla sua tremenda avvenenza. Sei stata di nuovo felice, ma è durata poco, perchè lui era un playboy e dopo la nona notte sotto le lenzuola ha preso il volo ed è sparito tra i tuoi ricordi di ragazza tradita.

Qui, in questo istante ti sei arresa, in questo punto preciso hai dovuto cedere al compromesso e pensare che quel ragazzo bruttino e un po' imbranato che ti faceva il filo al liceo non era poi tanto male, e forse se lo rincontrassi...

Ti guardo, donna alla fermata dell'autobus, e penso che alla fine l'hai ritrovato, quel ragazzo bruttino e imbranato, ora sarà un banale impiegato, o un telefonista di call center da ottocento euro al mese. Rimpiangi la Spider, la villa, i gioielli, ora vai a piedi, aspetti l'autobus sotto la pioggia, fai fatica ad arrivare a fine mese, i compromessi con la vita sono stati più forti della tua bellezza.
Ti ho guardata ancora dal retrovisore, prima di vederti svanire, rimpicciolita dalla prospettiva. Le donne non dovrebbero mai aspettare l'autobus.

Mi piace pensare che il tuo uomo, quello bruttino e imbranato, al ritorno dal suo ufficetto da precario medio, ti porti una rosa ogni giorno, e che ti basti questo per capire che avresti potuto sceglierlo tanto tempo prima, risparmiandoti l'umiliazione del compromesso.
Spero che tu sia felice, donna alla fermata dell'autobus.

venerdì 23 marzo 2007

BENVENUTI

Benvenuti.
Sono Max, solo Max, non ve lo dico il mio cognome.


Non so perchè ma mi è venuta voglia di aprire questo blog, tirar giù scritte due cazzatelle, tanto per scrivere, così. Non è un diario, non azzardatevi... non azzardiamoci a chiamarlo diario. Non è neanche uno sfogo, non sono nè depresso, nè represso al punto da dovermi sfogare su un cazzo di blog. Ho solo voglia di sentirmi un uomo di carta, anzi, un uomo di bit.
Non è un'evasione.
Se volessi evadere dal mio monolocale, dal mio call-center, dal mio quartiere schifoso comprerei un biglietto per Cuba o, ancora più facile, mi butterei dalla finestra.

Scrivere queste righe è un'esigenza.
Siamo circondati da miti e profeti e capiamo tutto ciò che predicano senza capire una sola cosa, la più importante: la nostra vera essenza.

Così ho deciso di salire in cattedra, non come un divo o una rockstar, dall'alto dei miei quasi trentaquattro anni, ma come uno qualunque, uno di noi. Vivo in un monolocale nel peggiore cesso di quartiere di Roma, lavoro in un call-center le schifose otto ore per ottocento euro netti al mese. La maggior parte vanno in affitto e bollette e mutui e altre facezie. Sono come la maggior parte di quelli che adesso stanno leggendo. Non voglio fare il divo, il mito, il profeta, la rockstar. Voglio sparare la mia voglia di libertà nel cosmo, nella speranza che qualcuno la raccolga e mi comunichi la sua.

Scrivetemi, lasciatemi commenti, mandatemi email, mandatemi affanculo magari, insultatemi, odiatemi. Preferisco di gran lunga l'odio all'indifferenza.